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I forzieri italiani nel mirino dell’europa

«Il dibattito italiano è incomprensibile: le fondazioni bancarie possono dare un impulso decisivo allo sviluppo civile dell’Unione»

di Francesco Maggio

Il 24 aprile scorso Dario Disegni, vice presidente dell?European foundation center-Efc, assieme al presidente Luc Tayart de Borms e a una delegazione composta da altri quattro membri, incontra a Bruxelles il presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Scopo dell?incontro, la consegna di un documento in otto paragrafi, messo a punto dall?Efc, denominato ?Lavorare con le fondazioni in Europa: perché e come??, al fine di attivare un dialogo con le istituzioni comunitarie sul ruolo che possono rivestire le fondazioni per la costruzione di un?Europa solidale. Oggi, quel documento è sul tavolo di tutti i commissari europei per espressa volontà di Prodi e tra fondazioni e istituzioni comunitarie sta nascendo un feeling destinato sicuramente a durare. «Le fondazioni sono presenti in molteplici settori», afferma Disegni, «dalla cultura alla ricerca scientifica, dall?educazione all?assistenza, dall?arte alla sanità. Sono soggetti privilegiati, punte avanzate della società civile che possono dare davvero un grande contributo alla costruzione di un?Europa dei cittadini e di quel capitale sociale diventato ormai un fattore strategico di sviluppo socio-economico per un Paese».
EF: Ciò, però, non sempre è vero per quanto riguarda l?Italia, visto che in non rari casi la dialettica delle fondazioni di origine bancaria con i cittadini è ancora piuttosto limitata.
Dario Disegni: È vero, in Italia il dibattito si è concentrato finora prevalentemente su questioni collegate al loro rapporto con le banche partecipate. E ciò ha finito per penalizzare una riflessione approfondita sul ruolo autentico che le fondazioni possono svolgere per favorire lo sviluppo civile e sociale del territorio.
EF: Come appare il dibattito dall?Europa?
Disegni: In realtà in Europa ne arrivano echi piuttosto deboli. E spesso incomprensibili. Quel che invece viene avvertito con nitidezza è che le fondazioni di origine bancaria, in virtù dei cospicui patrimoni di cui dispongono, possono davvero dare un impulso decisivo, per esempio, alla ricerca applicata, all?innovazione tecnologica, alla tutela del patrimonio culturale, alla costruzione di reti civiche tra cittadini. Possono cioè finanziare progetti di ampio respiro culturale e sociale e non limitarsi alle classiche erogazioni a pioggia. Anche se non bisogna dimenticare che l?Italia sconta un vizio d?origine, in proposito.
EF: Quale?
Disegni: Nel nostro Paese, prima della nascita delle fondazioni bancarie, erano pressocché sconosciute le cosiddette fondazioni grant making, ossia le fondazioni di erogazione così diffuse, invece, nel mondo anglosassone. A svolgere finora un ruolo determiante nella vita sociale del Paese sono stati da un lato lo Stato, inteso nelle sue diverse articolazioni centrali e locali e, dall?altro, le istituzioni collegate a vario titolo alla Chiesa. Quando poi, all?inizio degli anni 90, è nata questa tipologia di fondazioni, ecco che il loro avvio è stato inevitabilmente lento poiché rappresentavano una novità e non c?erano modelli di riferimento cui ispirare la propria attività.
EF: Come si recupera il tempo perduto?
Disegni: Come già accennavo in precedenza, bisogna far entrare le fondazioni nell?ottica del progetto. Devono cioè via via sostituire le erogazioni a pioggia con erogazioni per progetto, agire da moltiplicatori di risorse.
EF: Può fare un esempio?
Disegni: Penso, tanto per citarne uno, al progetto Cento città della Compagnia di San Paolo che prevede che la fondazione torinese finanzi al 50% il progetto di recupero urbanistico e architettonico di un centro storico degradato, vincitore di un concorso cui partecipano appunto cento città italiane. L?altro 50% lo mette a disposizione l?ente locale, il quale, a sua volta, coinvolge nell?attuazione del progetto la società civile locale. C?è un punto del documento che abbiamo consegnato a Prodi che parla espressamente di costruzione del capitale sociale . Ecco, si crea capitale sociale quando si produce valore aggiunto non in uno, bensì in molteplici settori di attività.
EF: Quanto tempo ci vorrà prima che le nostre fondazioni marcino in questa direzione?
Disegni: Non credo molto. Mi sembra che le fondazioni maggiori abbiano già intrapreso questo cammino e la consapevolezza della necessità di procedere su questa strada sia sempre più diffusa anche tra quelle di minori dimensioni. Da questo punto di vista credo che un?attivo coinvolgimento delle fondazioni italiane all?interno della comunità europea delle fondazioni non possa che portare stimoli importanti per innescare questo circolo virtuoso.

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